martes, 12 de abril de 2011

Domenica delle palme



L’Uomo-Dio Gesù Cristo inizia e compie la sua Passione, mediante la quale porterà la salvezza agli uomini e renderà gloria a Dio. Con la sua Passione e morte in croce, Cristo ci salverà dal peccato e dalla morte. Lui poteva redimerci senza subire nessun dolore, e invece patì un dolore infinitamente più grande dei dolori di tutti gli uomini, la Passione. Per soddisfare per i nostri peccati non ci voleva questo eccesso di patimento[1]; bastava un solo goccio del suo Sangue, una sola lacrima sua, e nemmeno questo. Perché mai Cristo soffrì in una maniera così terribile?

Se noi pensiamo che Cristo patì la Passione soltanto perché dopo il peccato c’era l’obbligo e la necessità di redimere gli uomini e di rendere omaggio ed onore a Dio, di restituire l’onore calpestato a Dio dagli uomini, diminuiamo l’onore di Cristo[2]. Lui non patì per necessità.

Fu l’amore libero ed infinito a Dio ed agli uomini ad spingerlo ad abbracciare la croce, a patire la Passione e la morte[3], e così l’amore di Cristo è l’onore della Passione, perché la sofferenza è più onorevole quando viene accettata liberamente e quando colui che patisce, patisce per amore e non per obbligo. Quando si patisce liberamente, non per necessità, e quando si patisce per amore, il patimento non è più un disonore ma una prova d’amore per colui per il quale si patisce.

Che il patire liberamente per amore sia la più grande mostra d’amore che l’amante possa dare all’amato, questo lo possiamo capire meglio vedendo i rapporti umani. Quando noi vogliamo acquistare qualche bene del quale abbiamo bisogno, siamo disposti a soffrire ed a fare qualche sacrificio per questa necessità. Invece per coloro che amiamo di più, siamo disposti a soffrire, e soffriamo, e facciamo qualsiasi sacrificio, non soltanto allo scopo di acquistargli qualche bene o rimediare qualche necessità, ma per dimostrargli, così, mediante il dolore, il nostro amore ed il nostro rispetto. Perché dimostra di più l’amore l’offerta di sé fatta mediante il sacrificio ed il dolore, che quella fatta senza subire, impassibile[4]. È in questa maniera, mediante il dolore, che dimostriamo l’amore nostro per i nostri cari, per le persone che amiamo di più, meglio ancora di qualsiasi altra opera che noi facciamo in loro favore. Quanto più grande è il dolore subito liberamente e per amore ai nostri cari, tanto più grande è la mostra del nostro amore per loro.

Gesù Cristo poteva redimerci senza patire –nonostante, se ci avrebbe redenti in maniera impassibile, sarebbe stato per noi un grande onore-, ma invece, scelse liberamente di patire la sua Passione, non per obbligo o per necessità, ma per amore, e perciò, tramite la sua Passione d’amore, ci rivela l’immensità dell’amore divino per noi. Quanto più grandi le sofferenze del Cristo, tanto più grande è l’amore di Dio per noi.

Perciò i santi amano la sofferenza ed il patire, non per soddisfare i propri peccati ed altrui, se non perché, umiliandosi se stessi, si assomigliano all’Uomo-Dio, il quale, in questa maniera, mediante la sua umiliazione estrema e mediante la sofferenza più atroce mai patita da alcun uomo, glorificò il suo Padre e se stesso nella maniera più perfetta[5]. L’umiliazione e l’annientamento spontanei dell’Uomo-Dio diedero a Dio e a Cristo il trionfo più grande, un trionfo infinito, del loro onore e della loro gloria[6].

Ed è questo ciò che noi dobbiamo cercare di imitare in Cristo, come fecero i santi: l’umiliazione e l’annientamento della Passione, della Croce, per così glorificare la Trinità. Ma la nostra umiliazione ed il nostro annientamento, anche la nostra croce, hanno valore solo se vengono uniti alla umiliazione ed all’annientamento del Cristo Crocifisso, del Cristo della Passione e della sua Croce. All’infuori di Cristo e della sua croce, non sono che superbia mascherata. L’imitazione del Cristo Dolente deve essere anzitutto interna, spirituale, un’opera dell’anima, ma soprattutto dello stesso Cristo e del suo Spirito d’Amore.

Siccome tra noi, cattolici, ed il Figlio di Dio esiste una relazione specialissima, una unità misteriosa perché siamo stati incorporati alla sua Persona divina come il suo Corpo, perciò dobbiamo agire in armonia col Capo, movendoci secondo i silenziosi impulsi del suo Spirito[7]. E se il Capo è crocifisso, il suo Corpo -le sue membra, noi- non può pretendere una vita spensierata, senza sofferenze. Il Corpo deve compartire, nello medesimo Spirito, il dolore del Capo crocifisso per poi compartire la gioia eterna della Risurrezione.

E se la vita di tutti i giorni deve essere una interrotta imitazione di Cristo, perché il corpo fa ciò che fa il capo, non c’è configurazione ed imitazione più perfetta al Cristo di quella che si verifica nella Messa, perché lì La Passione di Cristo e quella dei cristiani formano una unità nel sacrificio ideale di Cristo[8].

Nel sacrificio eucaristico, l’Uomo-Dio offre al Padre la carne ed il sangue della nostra natura umana, che vengono santificate dal fuoco dello Spirito Santo e così, sublimate da questo Spirito, vengono presentate davanti al trono di Dio. Cristo offre al Padre la nostra carne ed il nostro sangue, e noi, per Cristo, con Cristo ed in Cristo, uniti al suo sacrificio eucaristico, offriamo al Padre una offerta di valore infinito, la offerta del sacrificio del suo Corpo Mistico[9].

Uniti al Cristo Eucaristico, tutta la nostra vita, con le sue gioie e i suoi dolori, viene assimilata alla Passione di Cristo, e in Cristo, fatta una Pasqua in onore e gloria di Dio Trino.


[1] Cfr. Matthias Joseph Scheeben, Los misterios del cristianismo, Ediciones Herder, Barcelona 1964, 450-451.

[2] Cfr. Scheeben, Los misterios, 450.

[3] Cfr. Scheeben, Los misterios, 449.

[4] Cfr. Scheeben, Los misterios, 449.

[5] Cfr. Scheeben, Los misterios, 450.

[6] Cfr. Scheeben, Los misterios, 451.

[7] Cfr. Scheeben, Los misterios, 395.

[8] Cfr. Scheeben, Los misterios, 463.

[9] Cfr. Scheeben, Los misterios, 463.

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