viernes, 31 de diciembre de 2010

Santa Maria Madre di Dio


Maria è il roveto ardente che vide Mosè[1] (Ex 3, 1-4) , che arde senza essere toccato: il roveto è la sua umanità immacolata, il fuoco che lo fa ardere senza bruciarlo, è il fuoco dell’amore dello Spirito Santo.

Per la sua maternità e femminilità soprannaturale e glorificata, Maria è l’immagine e la rappresentazione dello Spirito Santo[2]. Allo stesso modo come nella Trinità lo Spirito Santo è il vincolo d’amore tra il Padre ed il Figlio, Maria è il vincolo d’amore tra il Padre ed il Figlio fatto uomo. Non essendo né madre né sposa nel senso umano delle parole, ma soprannaturalmente, miracolosamente, Maria, nello Spirito Santo e per lo Spirito Santo, è il vincolo d’amore tra il Padre ed il suo Figlio umanato[3]. Nello Spirito Santo, vincolo d’amore tra il Padre ed il Figlio, invasa e ripiena da questo Spirito divino, Puro e Verginale, Maria si fa il vincolo d’amore tra il Padre e questo Figlio suo fatto uomo. Maria Vergine unisce, col suo amore divino-umano, col suo amore purissimo di Madre Vergine e con l’amore purissimo e castissimo dello Spirito Santo, il Padre ed il Figlio venuto al mondo da Bambino.

Nata senza peccato originale per i meriti della Passione del suo Figlio, Maria era la piena di grazia divina, la piena di vita divina; possedeva in sé la purezza e l’amore di Dio. Tutto il suo essere, dalla sua radice più profonda, era ripieno dallo Spirito di Dio, dalla luce e l’amore divino, perciò la sua femminilità non era una femminilità naturale, uguale a quella di qualsiasi donna, ma una femminilità soprannaturale, una femminilità innalzata e dignificata dall’azione di Dio in essa e perciò Maria era l’unica dimora degna per l’Incarnazione del Verbo.

Per avere questa femminilità soprannaturale, Maria è la Donna Immacolata, in cui tutto l’essere è penetrato dalla purezza ed il soave profumo della natura divina, e perciò non ha in sé nessun desiderio umano, se non quello di adorare ed amare il mistero del Verbo eterno che volle nascere nel tempo dal suo grembo convertendola nella Sua Madre, nella Madre di Dio.

È veramente Madre di Dio non per aver generato Maria la natura divina del Verbo, giacchè il Verbo è Verbo Divino da tutta l’eternità, se non per aver generato una natura umana –composta di corpo ed anima- assunta nell’unità della Persona del Verbo; generò, nel tempo, secondo l’umanità, una persona eterna, avente l’umanità e la divinità[4]. Può essere veramente chiamata Madre di Dio perché il Figlio Eterno di Dio fattosi uomo, unendo alla sua Persona la natura umana, è stato concepito nella sua umanità ed è nato nel tempo dalla natura umana di Maria, e siccome la concezione e la nascita di una persona la si attribuisce secondo quella natura nella quale è stata concepita ed è nata, si può dire che Maria è Madre di Dio[5]. Vuole dire che il Figlio generato miracolosamente da Maria è personalmente il Figlio di Dio[6]; è Dio nella Persona del Verbo.

Nel purissimo grembo di Maria, si realizza dunque la più meravigliosa opera ad extra della Trinità, il mistero più affascinante di tutti i tempi, infinitamente più grande e bello della creazione, mistero davanti al quale non ci sono parole per descriverlo nella sua maestà: il mistero dell’Incarnazione del Verbo. Soltanto Lei poteva compiere la funzione di essere la Madre di Dio; soltanto il suo Immacolato grembo poteva recepire l’infinito Amore di Dio, lo Spirito Santo, che creò il corpo e l’anima umana di Gesù e li unì al Verbo di Dio, secondo la volontà del Padre.

Il Verbo, Dio Onnipotente, Figlio Unigenito del Padre, perfettissimo come il suo Padre per aver ricevuto da Lui la perfettissima natura divina, generato eternamente dal Padre, esce dal Padre, e senza lasciare di essere ciò che è, vale a dire, Dio tre volte santo, scende dal suo cielo di maestà per incarnarsi in quest’altro cielo di maestà che è il grembo di Maria. La Persona del Figlio del Padre, guidata dall’amore al Padre, guidata dallo Spirito d’Amore, lo Spirito Santo, senza lasciare il suo Essere divino ed eterno, senza lasciare la sua natura divina, si fa così piccolo da poter annidare in un mucchio di cellule umane e inizia, Lui, la Persona del Figlio Unigenito, l’Eterno, l’Inafferrabile, la sua esistenza umana per compiere il suo mistero Pasquale, la sua Passione e Risurrezione.

Il Figlio Unigenito del Padre lascia il suo eterno paradiso che è amare il suo Padre con l’amore dello Spirito Santo, per annidarsi in un altro paradiso, più piccolo, ma non di meno gioioso per Lui, l’amoroso grembo verginale e maternale dell’Immacolata Concezione, unico luogo dove poteva accadere questa meravigliosa opera della Trinità. L’Eterno ingressa nel tempo, l’Invisibile si fa visibile, l’Onnipotente si fa debole, il Dio Eterno è concepito verginalmente come un Bambino di uomo.

Accogliendo la Persona divina del Verbo del Padre, generato eternamente, che ha assunto un corpo umano ed un’anima umana[7], e dandogli Lei della sua sostanza, della sua carne, affinché l’Invisibile si faccia Visibile, affinché il mistero nascosto in Dio dall’eternità si manifesti agli uomini, Maria Vergine si fa Madre di Dio[8], la “Madre dell’Amore Bello”[9].

Per ultimo, la maternità divina di Maria ci raggiunge nel tempo perché il suo Figlio continua ad essere concepito in ogni messa nel seno della Chiesa, secondo il modello della sua maternità divina. La sua maternità divina è il modello ed il fondamento per la concezione e la nascita spirituale di Cristo nella Chiesa attraverso il sacerdozio: allo stesso modo come Maria per la potenza dello Spirito Santo concepì il Figlio di Dio e lo fece scendere dal cielo per dargli la sua forma visibile, allo stesso modo il sacerdote, per la potenza dello Spirito Santo, concepisce il Figlio di Dio fatto uomo e lo depone nel grembo della Chiesa sotto le specie eucaristiche[10].

Iniziamo questo nuovo anno sotto la luce della maternità divina di Maria; a Lei, nostra Madre, chiediamo la protezione, al suo Cuore Immacolato ci consacriamo in persona e consacriamo con noi tutte le nostre famiglie ed il mondo intero, affinché Lei trasformi i nostri cuori nel suo Cuore, un Cuore trasformato ed illuminato dal divino splendore di Cristo Eucaristia, un Cuore che, come il roveto ardente, arde eternamente, senza essere bruciato, col fuoco divino dello Spirito Santo.


[1] Cfr. Conferenza Episcopale Italiana, Liturgia delle ore, Antífona 3ª de las Segundas Vísperas de la Solemnidad de Santa María, Madre de Dios, Libreria Editrice Vaticana2, 2002, 478.

[2] Cfr. Matthias Josep Scheeben, Los misterios del cristianismo, Editorial Herder, Barcelona 1964, …

[3] Cfr. ibidem, …

[4] Cfr. E. Brocchieri, Sintesi Mariana, Edizione Paoline, Roma 1957, 79-80.

[5] Cfr. Santo Tomás de Aquino, Suma Teológica, III, q. 27, a. 5.

[6] Cfr. Juan Alfaro, Cristo, Sacramento del Padre, Gregorianum, ...

[7] Nel 451, il Concilio di Calcedonia, contro coloro che ammettevano in Cristo una sola natura, quella divina, essendo l’umana come assorbita dalla divina, definiva: Cristo “è perfetto nella divinità e perfetto nell’umanità, vero Dio e vero uomo, composto di anima razionale e corpo, consustanziale al Padre secondo la divinità, consustanziale a noi secondo l’umanità; prima dei secoli generato secondo la divinità del Padre; negli ultimi tempi secondo l’umanità generato da Maria Vergine, genitrice di Dio per noi e per la nostra salvezza” (Denzinger, 148). Questa defiinizione fu poi ripresa nel 680 dal II Concilio di Costantinopoli: “Maria è veramente e propriamente Madre di Dio secondo l’umanità”; le due nature in Cristo sono “in confuse, inconvertibiliter, inseparabiliter, indivise” (Denzinger, 290).

[8] Il Concilio di Efeso, nell’anno 431, definì: “Chi non crede che l’Emmanuele sia vero Dio e per conseguenza nega che Maria sia Madre di Dio, sia anatema” (Denzinger 113).

[9] Dom Augustin Guillerand Charteux, Contemplations Mariales, Roma 1959, 58ss.

[10] Cfr. Matthias Joseph Scheeben, Los misterios del cristianismo, Editorial Herder, Barcelona 1964, 577.

martes, 21 de diciembre de 2010

Natale è partecipare alla Nascita di Gesù


In questa fase dell’anno liturgico, inizio del Natale, ricordiamo il periodo della vita di Gesù che si estende dalla sua nascita fino alla sua manifestazione visibile, vale a dire la Natività e la Epifania. La Chiesa, che è Madre, ci fa meditare sulla vita di Cristo e noi, da figli della Chiesa, commemoriamo, ricordiamo, la nascita miracolosa di Gesù a Betlemme.

Cosa significa commemorare e ricordare la nascita del nostro Salvatore, Gesù Cristo? Qual è il rapporto tra noi, che in questa messa ricordiamo oggi la nascita di Gesù accaduta due milla anni fa?

Non è intenzione della Chiesa farci fare soltanto un esercizio psicologico, ricordando con la mente la vita di Gesù. La Chiesa non vuole soltanto una forma di partecipazione nostra ridotta all’unione morale, solo della volontà. Questo possono farlo anche altre chiese, come la protestante e il solo fatto di ricordare o di meditare sulla vita di Gesù potrebbe farlo anche un non cristiano. Si tratta non semplicemente di contemplare e imitare nel sentimento la nascita terrena del Signore, nei suoi particolari.

Noi cattolici siamo chiamati a celebrare il mistero di Cristo, unendoci personalmente a Lui, il nostro Salvatore; siamo chiamati ad unirci a Lui non solo con la volontà, ma con la nostra persona, alla Persona divina di Cristo, regnante nel cielo, che abita col suo Spirito nella Chiesa e nelle singole anime e personalmente nell’Eucaristia. Siamo chiamati a celebrare e a fare nostra, a possedere nella realtà, il mistero della sua vita terrena, della sua nascita a Betlemme, come qualcosa che ci appartiene perché è parte reale delle nostre persone; come cattolico, sono chiamato a possedere come proprietà mia questa grande realtà della vita di Cristo, della sua nascita, che è la mia salvezza.

La Chiesa pretende qualcosa di più profondo, più misterioso, più meraviglioso, di un semplice ricordo psicologico, di una mera unione con la volontà. Ciò che la Chiesa vuole che noi facciamo è che ci uniamo, non solo con la volontà, ma sostanzialmente, al mistero di Cristo, alla Persona di Cristo; la Chiesa vuole la nostra unione reale, fisica, con Cristo, l’Uomo-Dio, nato come un Bambino. Vuole che noi possediamo Cristo Bambino come proprietà nostra personale.

Cristo, che è il Sole di giustizia che illumina e dà vita e gioia agli spiriti beati dell’altro mondo, è la Lampada della Nuova Gerusalemme, che splende eternamente con la luce divina, e ci dona i suoi raggi di luce eterna attraverso il tempo liturgico, attraverso la liturgia, attraverso la messa. Lui, con la sua intera vita, che incominciò nel seno della Vergine e che non avrà termine per tutta l’eternità, è, nella sua totalità, il grande mistero di salvezza, nascosto dall’eternità in Dio, ma ora divenuto manifesto nella Chiesa, nella sua liturgia, nella sua messa. È con questo Cristo, nato a Betlemme, Dio eterno e unico Salvatore, che regna per i secoli senza fine, con il quale vuole la Chiesa che ci uniamo.

E la nostra unione col Cristo regnante nel cielo e la nostra possessione della sua vita nel tempo avviene nel tempo liturgico, nella liturgia, perché attraverso di essa ci si fa presente nel nostro tempo la vita eterna di Cristo; questa unione si concretizza e materializza nell’Eucaristia perché nell’Eucaristia ci si fa Presente la sua Persona divina.

Se Lui è Luce da Luce, è la Luce divina del Padre, la sua intera vita terrena, anche gli avvenimenti più umili e nascosti, come la sua nascita a Betlemme e come la sua morte miseranda sul Calvario, sono in realtà manifestazioni della luce divina, nascosta questa luce divina sotto le veste di una natura umana, nascosta in un Bimbo nato da una Vergine. La liturgia riproduce questo mistero di Cristo e questa luce; fa presente, per noi, sotto i segni sacramentali, questo suo mistero di salvezza. Perciò la liturgia, la messa, è uno splendore di luce e di gloria divina ed eterna in mezzo a noi.

Nell’anno liturgico noi dobbiamo vivere nel mistero, attraverso la liturgia, questa vita di Cristo Signore, il suo cammino dal seno della Vergine, dalla grotta di Betlemme fino al trono della divina maestà nell’alto dei cieli. Il tempo liturgico del Natale ci permette rivivere, nel mistero, la fase terrena della sua vita che va dall’Incarnazione fino alla sua nascita miracolosa da Maria Vergine. Perciò, per il fatto di essere la liturgia la manifestazione e la rinnovazione terrena del mistero eterno di Cristo, per noi, la sua nascita non è più l’ignorata venuta al mondo di un Bambino in Betlemme, pieno di povertà e umiliazione, anche se la povertà umana era invisibilmente glorificata dalla luce dell’amore e della magnificenza divina. Questa nascita è ora l’Epifania, la manifestazione, della divinità in carne umana per la Redenzione e la santificazione del mondo[1].

Come partecipare della Nascita di Gesù? Come unirci sostanzialmente, personalmente a Lui, Verbo Eterno del Padre nato nel tempo? L’evento che ci collega al Natale di Gesù Bambino e a Gesù Cristo Figlio del Padre è il mistero della messa, il mistero dell’Eucaristia. È soltanto nell’Eucaristia, nella santa messa di Natale –l’unica e vera festa del Natale-, dove noi ci uniamo personalmente a Cristo, Figlio eterno del Padre, nato nel tempo da Maria. Nell’Eucaristia i tre misteri sono connessi tra loro: la Trinità, il Natale o Incarnazione, e l’Eucaristia, ci presentano l’unico Figlio di Dio; nel grembo del Padre, nel grembo della Vergine, nel grembo della Chiesa. In tutti questi misteri Lui si trova occulto ai nostri occhi corporali ed spirituali, e soltanto la fede soprannaturale può farci vedere al Figlio eterno del Padre nato come Bambino a Betlemme, Presente in Persona nell’Eucaristia.


[1] Cfr. Odo Casel, Il mistero del culto cristiano, 114.

jueves, 9 de diciembre de 2010

Avvento, attesa della venuta del Messia


Siamo nel tempo di Avvento, siamo all’attesa della venuta del Messia; facciamo una commemorazione della sua nascita. Ma non è soltanto un ricordo; è molto di più: è una “memoria” che ricorda e fa presente l’evento di salvezza. La memoria cristiana ricorda sì i fatti meravigliosi compiuti da Dio nel passato, ma fa presente; nel momento che celebra i sacramenti, gli stessi fatti salvifici, vale a dire, attua e attualizza la redenzione.

In ogni sacramento, e questo è valido soprattutto per l’Eucaristia, re-viviamo in atto la presenza salvifica del Redentore Gesù. Memoria del passato, attualizzazione del presente, attesa del futuro di gloria. Ecco i tre momenti salvifici presenti in ogni sacramento, in ogni Messa. Questo vuol dire che oggi nella Messa faremo memoria degli atti salvifici di Gesù, ma anche faremo presenti questi stessi atti, ri-viviremo la presenza salvifica di Gesù. Gesù stesso si farà presente personalmente, scenderà dal cielo per rimanere tra noi nell’Eucaristia, per abitare nelle nostre anime. Mangeremo il suo corpo glorioso, l’Eucaristia, e così rimarremmo nell’attesa della sua seconda venuta. Aspettiamo il suo ritorno definitivo nella gloria del Padre.

In questi giorni di Avvento, la Chiesa ci ha presentato la figura di Giovanni Battista. C’è un paragone tra Giovanni Battista e la Chiesa: la Chiesa fa in questi ultimi tempi, fino alla seconda venuta del Salvatore, la stessa funzione del Battista.

Così come il Battista predicava l’imminente inizio del tempo messianico, perché Gesù, che era già presente tra gli uomini, e doveva cominciare tra poco la sua manifestazione come Dio, così la Chiesa annunzia agli uomini del nostro tempo che Gesù, che è già presente tra noi nell’Eucaristia, arriverà pronto manifestandosi come Dio Onnipotente.

Come il Battista, che predicava nel deserto, e vestiva poveramente e viveva nella povertà, così la Chiesa predica nel deserto, che sono le grande città, le zone rurali, tutta la civiltà del nostro tempo. Come il Battista, la vera Chiesa vive la povertà.

Quando il Battista predicava, c’erano pochissimi che ascoltavano la voce nel deserto che annunziava la Venuta del Messia; allo stesso modo, quando la Chiesa annunzia che il Regno di Dio è la Persona di Gesù e che Gesù verrà a giudicare il mondo, sono pochissimi coloro che ascoltano.

Come il Battista ebbe nemici che lo portarono alla morte martoriale, nella testimonianza di Gesù, così accadrà alla Chiesa –e accade adesso-: sarà perseguitata e martirizzata, perché darà la sua vita in testimonianza del suo Sposo, Gesù.

Il destino martoriale del Battista e della Chiesa, non è altra cosa che la partecipazione al sacrificio martoriale di Gesù nella croce.

Come il Battista battezzava, così la Chiesa battezza. Ma siccome il battesimo della Chiesa è il battesimo di Gesù, c’è una differenza.

Siamo nel tempo dell’Avvento, tempo di attesa della venuta del Messia, il Bambino Dio. Noi commemoriamo la prima venuta, ed aspettiamo la seconda. In questi giorni, il Vangelo ci ha parlato dei tempi precedenti alla manifestazione pubblica del Messia.

Quello che annunzia la manifestazione del Messia è Giovanni Battista. Cosa rappresenta Giovanni Battista?

Rappresenta il fine dei tempi della legge antica, e l’inizio della legge nuova. Lui annunzia l’imminente arrivo dell’era messianica, l’inizio del compiersi delle profezie fatte sul Messia. Lui sa di non essere Lui il Messia, sa che lui è soltanto un uomo, e che il Messia è invece Dio fatto uomo, che il Messia è l’Uomo-Dio.

La sua missione è annunziare che il Messia è arrivato, che i tempi del regno delle tenebre è scaduto, e che è incominciato il tempo escatologico del Regno di Dio. “Convertitevi”, dice Giovanni, “perché questo regno di Satana, regno delle tenebre e della menzogna, finirà, e arriverà il regno di Gesù, il regno della luce e della verità, e questo regno non è altra cosa che la stessa Persona di Gesù.

Ciò che Battista annunzia è l’inizio dell’attività pubblica di Gesù: Gesù manifesterà con le sue opere –i miracoli- che Lui è Dio, il Verbo Eterno di Dio, generato eternamente dal Padre, che adesso cammina tra gli uomini, guarendoli, confortandoli, portandoli la salvezza nella sua Persona.

Giovanni chiede la conversione del cuore verso Dio, chiede di lasciare di fare le opere delle tenebre, perché arriva tra gli uomini la Luce Incerata, la Luce Eterna che illumina la Gerusalemme celeste, la Luce che è l’Agnello Immacolato, Gesù.

Giovanni battezza con acqua, ma il suo battessimo non provoca nessuna trasformazione all’interno dell’essere dell’uomo. L’importanza del suo battesimo è quella di provocare un cambiamento del cuore e perciò degli atti, che da questo momento devono essere buoni, perché il Dio Buono è disceso dal Cielo e abita tra di noi. Ma è Lui stesso a dire che Gesù battezzerà con lo Spirito. Com’è questo battesimo di Gesù?

Il battesimo di Gesù è un battesimo dello Spirito Santo, il che tocca, attinge la profondità più intima dell’essere umano, trasformandolo e rinnovandolo dal profondo.

Prima dell’arrivo dello Spirito di Gesù, l’anima si trova immersa nell’oscurità, è piena di tenebre, e si trova fuori da Dio, prigioniera di Satana e del suo regno. Questa è la conseguenza del peccato originale, il dominio del Re degli inferi sull’anima. Perciò coloro che muoiono senza il battesimo, mai riescono a vedere a Dio, per tutta l’eternità.

Invece dopo il battesimo di Gesù, che battezza con acqua e con lo Spirito, l’anima viene liberata dal dominio di Satana, perché l’anima è bagnata e pulita col sangue di Gesù.

Nel battesimo l’acqua, santificata dal potere dello Spirito Santo, espulsa il Re delle tenebre dall’anima, e abilita l’anima trasformandola in una dimora della Trinità. Nel battessimo è il sangue di Cristo a purificare e santificare l’anima, perché è il sangue di Dio, del Verbo Incarnato.

Perciò al contatto col Sangue di Gesù, nell’anima cessa il dominio delle tenebre, e incomincia ad abitare la Trinità.

Grazie al sacrificio in croce di Gesù, il suo sangue rende l’anima dimora della Trinità. Questa anima appartiene a Gesù, perché Gesù l’acquistata col suo sangue. Col suo sangue versato sull’anima, Gesù sigilla la Nuova Alleanza, l’Alleanza Eterna nel suo sangue, il sangue dell’Alleanza Nuova ed eterna.

Gesù versa il suo sangue sull’anima e la pulisce e la purifica, togliendogli il peccato originale. Il suo sacrificio come Agnello fa sì che l’ira divina su quella anima si lontani, e fa sì che Dio la guardi con amore e misericordia. Ma il sangue di Gesù fa molto di più di togliere il peccato, il che è già un opera propria di Dio. Gesù, col suo sangue, si dona se stesso all’anima, affinché l’anima abbia un rapporto personale d’amore con Lui, e anche per portarla al Padre, sempre nell’amore dello Spirito Santo.

Il sangue di Gesù, il sangue della Nuova Alleanza, versato nel sacrificio dell’altare, nel sacrificio eucaristico, ha il compito di portare alla pienezza dell’essere e dell’amore dell’uomo: la comunione personale con la Trinità, che è il fine per il cui siamo stati creati.

In ogni Messa, l’Agnello Immacolato si immola per noi, e ci versa il suo sangue sulle nostre anime, ci dà a mangiare il suo corpo; in ogni Messa Lui viene alle porte delle nostre anime, e ci chiede di entrare, per santificarci e rallegrarci con la sua Presenza, e con la Presenza del Padre e dello Spirito Santo.

lunes, 6 de diciembre de 2010

Cristo caccia via i demoni col potere divino


Cristo realizza un miracolo: caccia via i demoni col potere divino (cfr. Lc 4, 31-37). I demoni obbediscono alle parole di Cristo, perché riconoscono il potere di Dio che in esse viene trasmesse. Il potere dell’inferno nulla puó fare davanti al potere di Dio.

Ma non soltanto Cristo fa i miracoli. Anche i suoi discepoli fanno i miracoli. Chè cosa dimostrano i miracoli, quelli fatti da Cristo e quelli fatti dai discepoli?

I miracoli fatti da Cristo dimostrano che Dio operava in Lui in maniera, soprannaturale, che era con Lui e in Lui in maniera speciale[1]. Ma anche i miracoli fatti dai discepoli e i santi lungo tutta la storia della chiesa Cattolica dimostrano questo: che Dio opera in loro e con loro in maniera soprannaturale. Sia Cristo che i discepoli, che i santi, tutti cacciano via i demoni, guariscono gli ammalati, risuscitano i morti.

Qual’è la differenza tra i miracoli realizzati da Cristo e quelli degli apostoli e i santi?

La differenza è che i miracoli realizzati da Cristo sono fatti da Lui con la forza ed il potere divino che scaturiscono da Lui, che gli appartengono, per diritto proprio, per il fatto di essere Lui il Verbo Incarnato, l’Uomo-Dio. Lui, Cristo, è il Dio Onnipotente, e fa i miracoli con un potere che gli è proprio.

Invece i santi, gli apostoli, fanno dei miracoli non con un potere proprio, ma col potere dell’Uomo-Dio Gesú; loro sono uno strumento nelle mani di Gesú, attraverso i quali Gesú opera ed agisce invisibilmente. Loro fanno i miracoli, ma nel nome e col potere di Gesú.

L’altra differenza è che i miracoli fatti da Gesú confermano le parole di Gesú: Lui si presenta davanti agli uomini come l’Emanuelle, Dio tra noi, come l’Uomo-Dio, uguale a Dio in potere, in maestá ed in gloria, e fa dei miracoli che possono essere fatti soltanto da Dio. i miracoli suoi testimonio ció che Lui dice di se stesso: che Lui è Dio.

I miracoli di Gesù non sono finiti. Tutti i giorni, in ogni messa, Lui continua a realizzare il miracolo piú grande, piú meraviglioso e misterioso di tutti, la conversione del pane e del vino nel suo Corpo e nel suo Sangue.

In ogni messa, Lui realizza , per mezzo i sacerdoti ministeriali, il miracolo piú affascinante di tutti, l’Eucaristia.


[1] Cfr. Matthias Josep Scheeben, Los misterios del cristianismo, Editorial Herder, Barcelona 1964.

viernes, 12 de noviembre de 2010

L'Uomo Dio fu embrione


Dal fenomeno al fondamento. Per una fondazione metafisica dell’embrione come persona umana.

Secondo il Papa Giovanni Paolo II, oggi bisogna andare “dal fenomeno al fondamento”[1]. Qual è il fondamento metafisico della persona umana? L’ipotesi è che c’è qualche elemento metafisico costitutivo che stabilisce alla persona in uno statuto ontologicamente superiore a qualsiasi altro ente visibile presente all’esperienza umana dal primo momento del suo concepimento. Procediamo secondo tre passi e una conclusione: I. Partendo dall’ente fenomenico, considerare l’oggetto formale dell’ente secondo la metafisica: l’essere. II. Considerare dopo il costitutivo ontologico del concreto sussistente: composizione del ens-essenza-esse. III. L’actus essendi come ultima perfezione ontologica dell’ente concreto sussistente. Conclusione: l’essere partecipato come actus essendi, è il fondamento della sussistenza e della dignità dell’embrione unicellulare come persona umana.

I. L’oggetto a considerare è un ente[2] -forma che ha l’esse in atto e co-significa l’esse in quanto tale[3]-, al cui dal punto di vista fenomenologico chiamiamo embrione umano (nello stadio unicellulare[4]), costituito da materiale genetico ricombinato dalle cellule precedenti. L’analisi del cariotipo[5] -secondo il metodo descrittivo della scienza esperimentale medico-biologica- dimostra che possiede molecole di ADN specifiche della specie umana e che si trova in movimento[6] verso un fine prefisso[7], che possiede vita[8] biologica, e che acquisisce la sua forma finale conservando l’unità sostanziale in tutto il processo[9]. La scienza medica però non può intravedere un plus ultra e perciò bisogna passare al momento trascendentale della ricerca e considerare l’oggetto formale della metafisica, l’essere, cioè, “l’essere in quanto essere (ens in quantum ens) o la nozione comunissima di essere o essere comune (ens comune)”[10]. Qual è l’esse che co-significa l’ente? Non si tratta del “fatto di esistere (esse in actu) in un individuo... se non l’atto di essere, quel principio attuante attraverso il cui la natura o essenza è questa o quell’altra, di questo o quell’altro essere”[11]. L’oggetto formale metafisico non può mai essere l’essenza, perché “l’essere è sopra di essa e la domina”, e anche perché “l’essenza si chiama cosi ed è essenza soltanto dal momento che sostiene e manifesta l’esse”[12].

II. Dello già detto possiamo intravedere il costitutivo ontologico di quest’ente (embrione unicellulare umano): la struttura fondamentale (trascendentale) del sussistente finito è quella di composizione tra essenza ed esse: in questa composizione, l’essenza attua come il principio potenziale e recettivo dell’atto d’essere[13]. Sebbene limitato e finito, quest’ens così composto è stato il punto di partenza del nostro pensiero e della nostra ricerca perché ha una importanza radicale per la vita dello spirito: è “l’ens il primum cognitum, non soltanto in senso reale, come il primo oggetto con cui si trova la coscienza, se non come primum trascendentale, cioè, come quello che costituisce il principio fondante e illuminante di tutt’altra conoscenza”[14]. E’ l’ens quello che cade come primo oggetto conosciuto dalla coscienza e che mette in movimento il pensiero, secondo San Tommaso[15]. E anche l’ente è primo che i primi principi[16]. Cioè, l’ente, “per San Tommaso non è soltanto il primum cognitum in quanto conoscibile ma il primum faciens conoscere[17], e questa priorità nella vita dello spirito l’avviene all’ens dovuto al fatto che quest’ens è composto da esse-essenza[18]. Se non ci fosse l’ente, non avesse inizio del pensiero, e l’anima rimangerebbe come la “tabula rasa”[19], di Aristotele. Invece di fronte all’ente, la mente si attualizza e rimane sempre aperta all’infinito accadere della realtà del mondo, e di questa sale all’Esse Impartecipato[20]. E’ il plesso ens-essenza-esse ciò che si trova all’inizio del movimento dell’intelletto e dunque della volontà e dell’agire umano: “il presentarsi dell’ens è l’alzarsi della coscienza e il suo mettersi in atto, ed è il principio della stessa coscienza”[21]. L’ens c’è l’ha quest’importanza nella vita dello spirito dovuto al fatto che c’è qualcosa nella sua composizione che non s’identifica, come abbiamo già detto, né con l’essenza né con l’esistenza. Se fosse essenza, mai potrebbe attualizzare la coscienza, perché è l’essenza quella che si fonda nell’essere e non al contrario. L’essenza è soltanto una modalità o partecipazione dell’essere; è soltanto un contenuto o una possibilità ma non una realtà e perciò bisogna essere attualizzata, attuata[22]. L’esse attualizzante dell’ens non si identifica neanche col “presentarsi del presente” nel spazio e nel tempo, perché in questo caso l’esse non è mai atto fondatore ma funzione del spazio e del tempo; neanche con la coscienza in atto, perché questo porta a fondare l’essere nel nulla[23]. Neanche s’identifica con l’esistenza (esse in actu): l’esistenza è soltanto la manifestazione temporo-spaziale dell’ens, un effetto del cui non si può fare scienza; è fondata e non fondante, e perciò “l’inteligibilitá di tutto ens[24] si fonda nella sintesi intrinseca de essentia ed esse ma non nella sintesi estrinseca di essentia-essistenzia[25]. Non è l’essenza, non è l’esistenza. L’attualizzazione dell’essenza che ha com’effetto l’esistenza è opera dell’esse ut actus, l’actus essendi, o esse intensivo, perfezione ultima che attualizza e mette nella realtà concreta qualsiasi perfezione formale. Si tratta dell’emergenza dell’esse come actus essendi, cioè, come principio attualizzante dell’essenza dell’ens; è quest’esse dell’ens che mette in movimento il pensiero. L’arrivo alla nozione di esse intensivo -nozione basilare e vertice della speculazione metafisica tomistica- la fa San Tommaso attraverso due passi: la “riduzione formale” mediante la nozione di partecipazione, di tutte le perfezioni all’esse, in quanto sono dette “partecipanti” alla perfezione suprema ch’è l’esse; la “riduzione reale”, mediante la coppia aristotélica di atto e potenza, di tutte le perfezione a “potenza” rispetto all’esse ch’è l’atto per eccellenza. Questa riduzione non rappresenta soltanto il momento della “mutua assimilazione” e penetrazione nel Tomismo del principio platonico e di quello aristotelico[26], ma la superazione di ambedue sistemi in una conquista metafisica esclusiva e insuperabile di San Tommaso. Quale sono le caratteristiche di quest’esse? Secondo l’analisi del padre Fabro, l’esse intensivo ha dei seguente caratteristiche: è l’atto primo ed ultimo[27]; è l’atto in sé più perfetto e più formale[28]; è l’atto piú intimo[29] e profondo[30]. Lo detto precedentemente vuol dire che è soltanto attraverso l’“esse intensivo” –esse come actus essendi- che tutte le perfezioni dell’ens sono fondate, attualizzate e concretizzate, cioè, sono messi nella realtà, hanno la loro concretezza e sussistenza. In altre parole, è soltanto attraverso l’actus essendi come si manifesta nella realtà il plesso ens-essenzia-esse e anche come l’ens finito si presenta nella sua intelligibilità. Inoltre favorire l’actus essendi la concretezza e l’intelligibiltà dell’ens, rimanda al pensiero –perché non ha in se stesso tutte le perfezione- inevitabilmente all’Esse per essentiam, e questo attraverso le nozione di partecipazione[31] e di causalità[32] e della perfezione ultima separata[33]. La risoluzione tomista dell’esse come atto intensivo permette inoltre di stabilire la distinzione reale di essenza ed esse nel concreto sussistente -distinzione fondante della “non divinità della creatura”[34]- e l’identificazione di essenza ed esse in Dio. Vale a dire, stabilisce la “natura metafisica” di Dio come esse puro (esse per essentiam, esse imparticipatum) e la “natura metafisica” della creatura come ens (esse per participationem)[35]creaturale (diremption o “caduta ontologica”). L’ultima distinzione tra creatura e Creatore fatta sulla base della composizione esse ut actus-essenzia, è di estrema importanza per evitare il riduzionismo della filosofia immanentista che identifica l’esse con la coscienza –il Vorgriff di Karl Rahner o preconcetto, che precede all’ens in atto[36]-, facendo così impossibile l’uscita del proprio pensiero e perciò fondando tutto l’essere nel nulla. Tutt’altro succede invece con l’ens tomista: “Così, grazie alla funzione di fondamento dell’ens-esse, l’ens si presenta come la primiera nozione, l’esse come il primo atto, il principio di contraddizione come il primo principio e Dio come l’Esse Ipsum, come il primo principio e la Prima Causa”[37]. Anche come l’analogato[38] principale dal quale partecipano assolutamente tutti gli esseri che sono.

III. L’ente (zigote unicellulare) fondato dall’actus essendi nell’ordine trascendentale, è chiamato “sostanza” nell’ordine predicamentale perché sostanza significa suppositum o soggetto concreto sussistente. Per San Tommaso il costitutivo reale del suppositum o sostanza –che nell’uomo è composta da materia e forma-, la quale implica essenza determinata e sussistente come attualità ultima nell’ordine dell’essere[39], è l’esse. In altre parole, la sostanza è sostanza concreta reale soltanto dal momento che viene attualizzata dall’actus substantiae[40]: è per l’actus essendi –suprema realtà ontologica concreta, della cui concretezza e realtà partecipano tutte le altre perfezione- che il suppositum è individuo, sussistente e incomunicabile. La sostanza sussiste per il suo esse sostanziale ed è grazie a egli che sussiste tutto ció che sopraviene alla sostanza e che la completa o determina ulteriormente.Così, quest’ente (zigote) è “quest’uomo”, e “quest’uomo possiede effettivamente atto di essere col quale questa natura umana sussiste realmente ed è soggetto dei propri atti, cioè, è persona”[41]. Quest’ente sostanziale attualizzato dall’actus essendi appartiene alla specie umana secondo la genetica, e dunque gli appartiene la definizione filosofica di “persona” che si applica ad ogni individuo della specie umana –come un individuo umano non sarebbe una persona umana?[42]. Questa definizione è nome di dignità perché indica il suppositum della natura ragionevole ed spirituale[43], secondo la definizione di Boecio[44]: “Sostanza individuale di natura ragionevole”. E’ nome di dignità perché è incomunicabile, è sostanza primiera[45] –non sostanza seconda o concetto astratto, è sussistente, e perciò è compieta- e che possiede uno spirito capace di pensare e di volere. Questo nome espressa grandezza e dignità anche secondo San Tommaso: “persona significa ciò di più perfetto che c’è nella natura, cioè, l’essere sussistente nella natura ragionevole”[46]. La grandezza e dignità sono dovute alla superiorità della natura –ragionevole- e al suo modo di essere –sussistente: “Persona significa certa natura con certo modo di esistere. La natura della persona, è la più degna di tutte le nature… Anche la maniera di esistere è degnissimo, perché significa qualcosa che è esistente per se”[47]. La persona comparte la dignità che le avviene dalla sussistenza, con altre sostanze non ragionevole, ma è assolutamente trascendente dovuta a la sua natura ragionevole, perciò del concetto di persona “si escludono i corpi inanimati, le piante y i bruti , che non sono persone”[48]. In altre parole, la persona è degna perché è ragionevole, ma c’è un’altra dignità maggiore –nel senso che la fa possibile- nella costituzione ontologica della persona: questi concetti –natura ragionevole, sostanza, ecc.,- dicono dignità, ma siccome si riferiscono all’ordine predicamentale, quest’ordine non sarebbe più che forme –e perciò sarebbero soltanto essenze, contenute non attuati, essenze vuote senza concretezza- se non fosse fondato da una perfezione ontologica ultima, attualizzante di tutt’altra perfezione. Quest’ultimo passo nella costituzione reale del concreto sussistente lo fa l’esse ut actus, che nell’ordine trascendentale è come abbiamo visto l’atto più intimo e profondo. E quest’ultimo è la dignità maggiore e suprema, perché grazie all’actus essendi le perfezione sono concretizzate, le formalità sono attuate, gli atti sono messi nel concreto. L’esse ut actus rappresenta il vertice delle perfezione, l’atto trascendentale attraverso il cui il concreto sussiste nella realtà con tutte le sue perfezione; l’atto ultimo senza il cui il concreto non è nella realtà, rimanendo soltanto essenza senza attuazione. D’altro canto, l’esse ut actus mette nella realtà al concreto sussistente, e così questo soggeto interagisce con gli altri ipostasi; ma c’è un’altra conseguenza della sua creazione, prima se si può dire. Infatti, la creazione dell’actus essendi fa che il concreto sussistente stabilisca una relazione reale e accidentale con la Prima Causa: infatti, si tratta di un esse relazionale[49] che accanto alla sua creazione come esse finito e partecipato, le viene con-creata anche la sua relazione[50] con la Causa Prima, l’Ipsum Esse, che è Quel che li ha messo nell’esse. Questa relazione di ordine metafisico se bene è un accidente nell’esse creato, viene con-creata[51] e fonda tutte le relazioni di ordine fenomenologico-esistenziale e antropologico-biologico. Considerando lo zigote com’ente, possiamo vedere che cronologicamente, lo zigote comincia immediatamente ad operare in modo autonomo secondo i dati genetici[52], stabilendo relazioni di scambio biochimico con l’ambiente materno; anni dopo lo stesso uomo, nella riflessione, si scoprirà come l’io autocosciente che se relaziona con se stesso e con Cristo, Dio entrato nella storia[53], inoltre di stabilire relazioni interpersonali con gli altri esseri di natura ragionevole. Ma è la relazione di ordine metafisico, che stabilisce l’esse creato con il suo Esse Creatore sin dal primo momento –cioè, sin dall’unione della materia e della forma-, quella che fa possibile e fondamenta le relazione di ordine biochimico e dopo spirituali. I dati genetici (operazione autonoma del nucleo zigotico e perciò stabilimento immediato di relazioni di intercambio col mezzo materno) e i dati fenomenologici (il nuovo individuo geneticamente distinto alle cellule progenitore precedenti si trova nell’organismo materno –tube di Fallopio- e interagisce con egli), s’intrecciano col dato metafisico (il nuovo esse creato possiede una relazione con-creata che li proporziona costituzionalmente una tendenza relazionale reale verso l’Esse Increato). Ancora più, è l’esse creaturale ad avere una priorità “ontologica e reale sulla creazione stessa -cioè, sulla relazione-, anche la relazione ha un primato se si considera il fondamento della relazione, la dipendenza causale della creatura”[54]. Perciò non hanno fondamento –nè di orndine metafisico nè di ordine biologico nè di ordine spirituale- le teorie che sostengono l’animazione ritardata –basate sul pretesso inizio ritardo dell’operazione autonome del DNA zigotico-, e lo stabilimento di relazione tra zigote-organismo materno soltanto e a partire dall’impianto nella mucosa uterina, orbene le teorie che sostengono che l’embrione è potenzialità di uomo e non uomo in potenza (attiva).

Conclusione: La dottrina di San Tommaso dell’actus essendi, permette affermare che metafisicamente l’essere umano è persona sin dal momento del concepimento –zigote o embrione unicellulare-, e che quindi la dignità della persona non dipende dal codice di diritto, né del pensiero, ma è una qualità ontologica suprema, intangibile e perenne. Chi è persona è persona dal primo istante e per sempre[55], perché l’esse ut actus la stabilisce nella sua realtà ontologica in maniera immutabile, rimanendo in questo statuto ontologico sin dal suo inizio temporale fino all’eternità. La fondazione metafisica della persona attraverso l’actus essendi, permette di superare la artificiosa dissociazione tra antropologia e biologia operata nelle teorie che sostengono che l’embrione sarebbe diverso secondo le tappe considerate[56]. L’embrione è persona umana sin dal momento della concezione perché con l’esse ut actus niente di più li manca alla sua perfezione ontologica, giacché è perfetto nel livello più profondo della realtà, il livello metafisico, livello che fonda, sostiene e spiega i livelli antropologici e biologici. Il fenomeno biologico-antropologico (ente-zigote) si sottende dal fondamento metafisico (actus essendi). Di tutte le perfezione che possiede l’uomo-embrione unicellulare-: la materia, la forma sostanziale (l’anima) e le forme accidentali, è l’atto d’essere (actus essendi) la perfezione massima, la perfectio omnium perfectionum e l’actualitas omnium actuum, ed è ciò che conferisce attualità alla sostanza e a tutte le sue determinazioni e la dignità infinita a tutti gli che si ornano del titolo di persona, sia si tratti di Dio, degli angeli o dell’uomo[57]. D’altro canto, la concezione di “persona” fondata nell’actus essendi si trova nell’antipode della concezione della filosofia moderna, che intenta “concepire l’essere come tempo ed il tempo come essere”[58], il cui porta alla fondazione dell’essere nel nulla e a “crollare la teologia tomista fondata sulla trascendenza metafisica”[59], e porta anche a “impedire parlare di persona in Dio –neanche analogicamente– (Hegel, Fichte, Heidegger), a concepire la persona come idealizzazione immaginaria (Stuart Mill), o come un’estrapolazione illecita del sentimento soggettivo (Bradley)”[60], o come il soggetto capace di esprimersi orale ed esplicitamente[61]. Per il contrario, la dignità ontologica stabilita dall’actus essendi impedisce fin dall’inizio della sua esistenza che la persona sia mal intessa in questi sensi. La persona umana è infinitamente degna perché avendo un corpo materiale, partecipa anche del mondo dello spirito attraverso la sua anima intellettiva[62], trovandosi nella confluenza del tempo e dell’eternità[63], tendendo sempre all’Esse Subsistens di cui e immagine, perchè è capax Dei[64], essendo l’unica che dice ordine immediato a Dio[65] e riassumendo in sé tutto l’universo: “La persona…è la sintesi ed il riassunto di tutto l’ordine metafisico”[66]. Solo essa, libera per la sua apertura infinita all’essere “può essere veramente oggetto d’amore nel senso pieno della parola, cioè, d’amore di amicizia (S. Theol., I, 54, 2)”[67], e non può mai essere considerata come semplice parte di un tutto[68], e solo a essa l’appartiene costituzionalmente la ricerca libera di Dio[69]. Ma tutta questa dignità si fa realtà soltanto dal momento che l’actus essendi attua la essenza “natura ragionevole” mettendola nella realtà come concreto sussistente, stabilendola nella sua perfezione ontologica d’essere umano. L’embrione unicellulare di cui siamo partiti non ha esercitato anche questa sua potenza attiva, ma dal momento che è un individuo umano, un essere umano, ha il diritto di farlo -trascorreranno lunghi anni prima di farlo- perché è stato stabilito in modo reale, concreto e immutabile nella sua dignità ontologica dall’esse ut actus. È già dunque persona umana in atto –che possiede una vita umana che è sacra perché dono prezioso di Dio[70]- perché è stata attualizzata la sua essenza umana dall’actus essendi creato[71] e partecipato dall’Ipsum Esse Subsistens, Dio.


Bibliografia.

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[1] Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Fides et Ratio, su le relazioni tra fede et ragione, 83; cfr. S. Tommaso, De Ver. I, 1.

[2] “Ente non e un’altra cosa che id quod est. La cosa se significa dal “quod”, e l’esse dal “est”. Così, questa parola ente significa principalmente l’essere -come la cosa che ha esse-, ed in obliquo significa alcun esse. La composizione, però, contenuta nell’”est”, non si significa principalmente, se non si co-significa, in quanto che se significa la cosa che ha l’esse”. In I Periher., lect.5, n.20. Significa la cosa che ha atto di essere.

[3] Cornelio Fabro, Curso de Metafìsica, Ediciones de la Facultad de Teología de la Pontificia Universidad Católica Argentina, Buenos Aires 1951, 162.

[4] Se bene ovviamente non c’è un’espressione fenomenologica della persona nel senso abituale del termino, intendiamo questo sia la sua “corporeità” nel senso dell’Istruzione Donum Vitae. Cfr. Intr., 3.

[5] “L’insieme dei cromosomi umani o cariotipo, è costituito da 22 paia d’autosomas e un pari di gonosomas (XX, donne; XY, uomini). Il cariotipo umano si classifica secondo la loro dimensione e la forma dei cromosomi nei gruppi A-G, dandogli a ognuno un numero, cosi come alla loro banda e sottobande di tingere, per esempio 9q34.12. Si classificano anche come metacentrici, acrocentrici e sottometacentrici”. Valentì Farreras, E. Rozman, Medicina Interna, Ediciones Harcourt, Madrid14, 2000, sec. 9 Genética Medica, cap.166, Bases moleculares de la herencia. Genes y enfermedad. Cromosomas

[6] Secondo Aristotele: “L’atto di andare della potenza (dynamis) all’atto (enèrgeia) si chiama kynesis”. In Phys, 1, 201, a, 10.

[7] Cfr. San Tommaso, C.G., I, c. 1: “...veritatem esse ultimum finem totius universi”.

[8] Esseri che si muovono a se stessi. Cfr. S. Theol., I, 18, a. 2; In De Causis, prop. 18.

[9] Cfr. Roberto Colombo, La natura e lo statuto dell’embrione umano, Relazione presso il Consiglio d’Europa, 16-18 12.1996.

[10] Cornelio Fabro, Curso de Metafìsica, ed. cit., 19.

[11] Ibidem, pag. 29.

[12] Ibidem, pag. 29.

[13] “…ens sumitur ab actu essendi sed nomen rei exprimit quidditatem vel essentiam entis” (“ente” viene preso dall’atto di essere mentre “cosa” esprime la quiddità o l’essenza dell’ente). Quaest., q. 1, a. 1, sol.

[14] Cornelio Fabro, Drama del hombre y misterio de Dios, Ediciones Rialp, Madrid 1977, 587.

[15] “Primum quod cadit in imaginatione intellectus est ens, sine quo nihil potest apprehendit ab intellectu”. San Tommaso, In I Sent., d. 8, q. I, a. 3.

[16] “...quod primo intellectus concipit quasi notissimum et in quid conceptiones omnes resolvit est ens”. San Tommaso, De Ver. I, 1.

[17] Cornelio Fabro, Curso de Metafìsica, ed. cit., 30.

[18] Cfr. Cornelio Fabro, Drama del hombre y misterio de Dios, ed. cit., 590.

[19] Secondo Aristotele. Cfr. S.Theol. I, 77, 1, dove S. Tommaso spiega che l’intelletto umano si trova in potenza in rapporto agli intelligibili.

[20] Questo non accade in Kant –anche in Rahner e in Heidegger- dove l’essere, vincolato alle strutture di spazio e tempo, è sempre intrinsecamente finito. Cfr. Cornelio Fabro, Drama del hombre y misterio de Dios, ed. cit., 597, nota 54.

[21] Cornelio Fabro, ibidem, 591.

[22] Cfr. ibidem, 591.

[23] Come fa Heidegger Cfr. Ibidem, 593-594.

[24] I trascendentali: res, unum, verum y bonum. Cfr. San Tommaso, De Ver. I, 1.

[25] Cornelio Fabro, Drama del hombre y misterio de Dios, ed. cit., 592.

[26] Cornelio Fabro, Tomismo e Pensiero moderno, Librería Editrice della Pontificia Università Lateranense, Roma 1969, 108-109.

[27] In I Sent. d. 8, Exp. Text.: “Esse... est actus subsistentis” ; S. Theol., I, q3, a4 ; Ibid., q54, a1: “Esse est actualitas substantiae vel essentiae”; De anima, a6 ad2 ; Comp. Theol., c.11; Quodl. XII, qV, a5.

[28] In II Sent., d1, qI, a1; C. G. I, 23; S. Th, Ia, q4, a2; S. Th., I, q4, a1 ad 3: “...ipsum esse est actualitas omnium rerum et formarum”.

[29] In II Sent., d1, qI, a4; Pot. III, 7; S. Th., I, q8, a1; Quodl. XII, qV, a5: “…esse substantiale rei non est accidens sed actualitas cuiusque formae existentis, sive sine materia sive cum materia. Et quia esse est complementum omnium, inde est quod proprius effectus Dei est esse.

[30] Cornelio Fabro, Tomismo e Pensiero moderno, ed. cit., 110.

[31] “…quod est per participationem, causatus est per id quod est per essentiam, sicut omne ignitum causatur ab igne”: S. Theol., I, 65, 1; De Malo, q3, a3.

[32] “Quod est per essentiam tale, est proprie causa eius quod est per participationem”: C. G. 1. III, c. 66; C. G., 1. I, c. 41.

[33] Il principio della perfezione separata e unica (in Platone le idee, in Aristotele la vita perfetta di Dio), è “applicato da San Tommaso all’esse, che è così atto primo e ultimo degli enti... operando in questa maniera l’emergenza dell’Atto e l’unificazione degli enti che sono in atto nell’Atto puro assoluto ch’è precisamente l’esse subsistens, il quale si presenta come l’unico atto autónomo e la sola perfezione alla quale compete di essere “separata”. L’esempio: il calor (calor separatus: De ente et essentia, c5; In II Sent., d16, q1, a1, ad3; Ver 23, 7 ad 10; C. Gent., II, 52; S Th., Ia, q IV, a 2: “Deus est ipsum esse per se subsistens… si calor esset per se subsistens, non poste ei aliquid deese de virtute caloris. Unde cum Deus sit ipsum esse subsistens, nihil de perfectione essendi potest ei deese”). Cfr. P. Cornelio Fabro, Tomismo e Pensiero moderno, ed. cit., 126.

[34] Hans Urs von Balthasar, Teodrammatica, IV, 66

[35] Cornelio Fabro, Tomismo e Pensiero moderno, ed. cit., 108-109.

[36] Cfr. Cornelio Fabro, La svolta antropologica di Karl Rahner, Rusconi Editore, Milano 1974, 55.

[37] P. Cornelio Fabro, Drama del hombre y misterio de Dios, ed. cit., 589-590.

[38] S. Theol. I, 88, 2 ad 3. Analogia nel piano logico ma fondata nel piano metafisico reale.

[39] Cfr. Cornelio Fabro, Curso de Metafisica, ed. cit., 142-143.

[40] In I Sent. d. 8, Exp. Text.: “Esse... est actus subsistentis” ; S. Theol., I, q3, a4 ; Ibid., q54, a1: “Esse est actualitas substantiae vel essentiae”; De anima, a6 ad2 ; Comp. Theol., c.11; Quodl. XII, qV, a5.

[41] Ramón Lucas Lucas, Lo statuto antropologico dell’embrione umano; in AA. VV., Identità e statuto dell’embrione umano, Pontificia Academia Pro Vita, Libreria Editrice Vaticana, Roma 1998, 174.

[42] Cfr. Giovanni Paolo II, …

[43] Cfr. Cornelio Fabro, Curso de Metafisica, ed. cit., 143.

[44] In Lib. De duabus naturis, c3, PL 64, 1343.

[45] La sostanza primiera ha naturalezza di sostratto, di essenza o quiditas e di sussistente, al quale tutto lo demàs logica o realmente inerisse o si soggetta. Cfr. San Tommaso, De Pot. IX 1 ad 4; “significa la natura del genero esistendo individualmente”. De Pot q. IX, 2, ad 6.

[46] S. Theol. I,29,3c.

[47] De Pot. 9,3c.

[48] De Pot. 9,2c.

[49] Nella creatura, la relazione è un accidente, e ha anche un essere reale. Nel suo aspetto formale, la relazione è intesa secondo Aristotele: tutto il suo essere è la referenza ad un altro. Cfr. Metaphisica, 15, 1020b 26ss.

[50] “La relazione della creatura a Dio è reale, perché la creatura è causata da Dio e dipende sempre da Lui nel suo essere; ma non può essere reale in Dio, che è immutabile, Esse Sussistente e semplicissimo… (invece) La relazione di Dio alle cose è puramente di ragione”. Cfr. De Pot. VII, 9; S. Theol., q. 45, ad. 1.

[51] La relazione è un ente reale, che non può essere concepita senza concepire prima il soggetto in cui sussiste. Cfr. S. Theol., q. 45, corpus; C. Gent., c. 18.

[52] Non è sostenibile l’ipotesi della completa inerzia espressiva del genoma dell’embrione precoce; cioè, un periodo di silenzio trascrizionale controllato esclusivamene da componenti di origine materna. Ad esempio, il gene SRY, localizzato nella regione telomerica del braccio corto del cromosoma umano Y –di sicura origine paterna-, è espresso e viene trascritto sin dalle primiressime fasi dello sviluppo embrionale, addiritura allo stadio pronucleare: Ao a., Erickson R. P., Winston R.M.L., Transcription of paternal Y.linked genes in the human zygote as early as the pronuclear stage, Zygote 1994, 2: 281-288; Fiddler M., Abdel Rahman B., Expression of Sry Transcripts in Preimplantation Human Embryos, American Journal of Medical Genetics, 1995, 55: 80-84.

[53] Cfr. Soren Kierkegaard, La malattia mortale, P. I, A, a; Firenze 1972, 621s. Cit. da Cornelio Fabro, La dialéctica de inteligencia y voluntad en la constitución del acto libre; in rivista Diálogo, Año 3, 14, San Rafael Mendoza 1996, 38ss.

[54] S. Theol., I, q. 45, a. 3.

[55] Cfr. Battista Mondini, op. cit., p. 469.

[56] “Alcuni propongono che l'embrione nelle fasi iniziali del suo sviluppo -sino al 7-15 giorno- sarebbe dotato di una identità e individualità genetica, ma non ancora di una determinata individualità organismica: in senso ontogenetico non si troveremmo di fronte allo stesso individuo umano che riconosciamo successivamente nell'embrione impiantato, nel feto e nel neonato. Non essendo definita l’individualità sostanziale, verrebbe così a mancare uno dei due requisiti della persona umana: si opera una disoziazione antropologica-biologica”. Roberto Colombo, Relazione..., cit. ut supra.

[57] Cfr. Battista Mondini, Dizionario Enciclopedico del pensiero di San Tommaso d’Aquino, voce “persona”, Edizioni Studio Domenicano, 1991, pag. 465-467.

[58] Cornelio Fabro, La aventura de la teologìa progresista, EUNSA, Pamplona, pag. 116.

[59] Ibidem, pag. 114.

[60] Cornelio Fabro, Introduzione all’ateismo moderno, cap. VII, Cremona, 1969, pag. 610ss.

[61] Cfr. Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Evangelium vitae, sul valore e l’inviolabilità della vita umana, 19.

[62] S. Theol., I, q 77, a. 2; C..G., II, 82.

[63] In I De causis, lect. II, s. 15.

[64] S. Theol.,III, q. 4, a. 1 ad 2m.

[65] S. Theol., II-II, q. 2, a. 3.

[66]Joseph de Finance, S.J.,Conoscenza dell’Essere.TrattatodiOntologia, 2°Ristampa, Editrice Pontificia Università Gregoriana, Roma, 1998, p. 467.

[67] Joseph de Finance, ibidem, ed. cit., pag. 470.

[68] Joseph de Finance, ibidem, ed. cit., pag. 468.

[69] Ricerca nella quale la persona compie pienamente la sua libertà perché è in questa ricerca che l’uomo si libera dell’infinito succedersi delle cose ed eventi del mondo per arrivare alla Verità, al Bene e all’Essere stesso. Cfr. Cornelio Fabro, Drama del hombre y misterio de Dios, ed. cit., 599-604.

[70] Cfr. Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Evangelium vitae, sul valore e l’inviolabilità della vita umana, 2. 22. 61. 81.

[71] San Tommaso, De Causis, L. III, Prop. XVIII: primum ens dat esse omnibus per modum creationis, gli altri ipostasiper modum formae”.